Chi vede te vede una primavera,
uno strano arboscello, che non reca
fiori, ma frutta.
Un giorno ti tagliavano i capelli
stavi, fra il tuo carnefice e la mamma,
stavi ritta e proterva;
quasi un aspro garzon sotto la verga,
a cui le guance ira e vergogna infiamma,
luccicavano appena i tuoi grandi occhi;
e credo ti tremassero i ginocchi
della pena che avevi.
Poi con quale fierezza raccoglievi
quel tesoro perduto,
quel magnifico tuo bene caduto,
i tuoi lunghi capelli.
Io ti porsi uno specchio. Entro la bruna
chioma vi tondeggiava il tuo bel volto
come un polposo frutto.
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